[La crisi finanziaria francese]

22 Aprile 1848

«Il Risorgimento», Anno I, numero 100 del 22 aprile 1848

La crisi finanziera, che travaglia sí crudelmente la Francia, si aggrava ogni giorno, a cagione massime di un crescente difetto di numerario. Diminuiscono le operazioni commerciali, le imprese industriali si rallentano o si sospendono, e con tutto ciò i danari mancano alle transazioni quotidiane. Invano il Governo provvisorio ha dato ai biglietti della Banca di Francia ed a quelli delle banche di provincia un corso obbligatorio; invano ha conceduto a questi stabilimenti la facoltà di aumentare la loro circolazione. Tutti questi rimedi sono stati inefficaci: il numerario in tutte le provincie dello Stato è sempre più ricercato, e continuano le catastrofi, che senza tregua colpiscono le case bancarie le più ricche, gli stabilimenti commerciali i più solidi, le imprese industriali le più prospere; e ciò che incute negli animi maggior timore, si è che queste catastrofi non sono prodotte da cattive speculazioni, né da perdite reali, né dalla distruzione degli agenti della produzione, ma quasi esclusivamente dall’impossibilità di procurarsi il contante necessario al pagamento dei debiti in mora, colla vendita di merci o colla negoziazione di titoli o di crediti.

Le indicate calamità operano in modo doloroso sui paesi alla Francia vicini, su quelli in ispecie, i quali, come il Piemonte, hanno con essa numerose ed importanti relazioni commerciali. Ond’é che da noi non v’è negoziante o banchiere, che non sia stato vittima della critica condizione a cui sono ridotti i suoi corrispondenti d’oltre Alpi, e che non sia in seri pensieri per ritenere o procacciarsi i fondi che si richieggono al disimpegno delle contratte obbligazioni. Queste funeste conseguenze della crisi francese si faranno più gravi ancora, se, come pur troppo pare probabile, essa si prolunga sino alla fine di giugno, epoca alla quale la compra dei bozzoli e l’attivazione delle filature rendono necessaria la circolazione di una quantità di numerario molto maggiore di quella che è bastevole nel rimanente dell’anno. Ci importa dunque sommamente di ricercare le vere cause di questa perturbazione economica. Se ci verrà fatto di determinarla in modo esatto, impediremo forse presso di noi l’applicazione di apparenti rimedi, atti piuttosto a far peggiori anziché ad alleviare i mali che affliggono il nostro commercio e la nostra industria; e cooperano [sic] ad un tempo a distruggere i singolari errori, che si spacciano ogni giorno sul difficile e gravissimo argomento della circolazione del numerario.

Il difetto di numerario in Torino, non è stato cagionato da straordinarie esportazioni di esso; che anzi è probabile, che dopo la rivoluzione di febbraio se ne sia importato più di quanto ne venne spedito all’estero. Infatti, se i molti forestieri che hanno abbandonato precipitosamente la Francia e Parigi; se coloro i quali hanno cercato di procacciarsi in altri paesi, e segnatamente, in Inghilterra, un più sicuro impiego dei loro capitali, cagionarono numerose esportazioni di numerario, da un altro lato, tutti coloro che erano in debito con case in Francia, dovettero soddisfarvi con spedizioni di danaro. Fra queste cause tra di loro opposte, quelle favorevoli all’importazione sembrano aver dovuto produrre maggiore effetto; almeno le une noi crediamo abbiano bilanciato le altre.

Se il numerario in Francia non è diminuito, e se contemporaneamente la quantità dei biglietti di banca, che ne fanno l’ufficio, è accresciuta, perché mai riesce tanto difficile il rintracciarne? Per qual motivo l’agente della circolazione manca egli ad un tratto? Perché mai tante persone in circostanze agiate sono esse costrette a far convertire in iscudi il loro vasellame?

Gli economisti della scuola socialista spiegano una tale anomalia col dire, che i capitalisti francesi, mossi da cupe mire d’egoismo in odio della repubblica e della proclamata fraternità, hanno ritirati tutti i loro capitali, gli hanno convertiti in numerario, per chiuderlo quindi nei loro scrigni, o seppellirlo nei più nascosti ripostigli.

Questa ingegnosa spiegazione, già più volte stata data ai suoi lettori dal Messaggiere, sarebbe sino ad un certo segno plausibile, se in mezzo a tanti disastri pecuniari i capitalisti fossero rimasti illesi, o fossero loro toccate soltanto delle perdite di poco momento. Ma i giornali annunziano invece, che le case provviste di capitali, i banchieri reputati i più ricchi, furono le prime vittime della crisi. Le perdite cagionate da tanti fallimenti, da tanta diminuzione di valore dei fondi e delle azioni industriali, non sono ristrette ai banchieri ed ai commercianti ma si estendono in Francia a tutti coloro che posseggono capitali di qualsiasi specie. É cosa nota a tutti coloro che hanno relazioni con quel paese, che ivi si reputa fortunato chi perde solamente la metà dei suoi averi.

Ora, se ciò è incontrastabile, la spiegazione del Messaggiere non è ammissibile. Qualunque sia la perfidia di cui creda capaci i capitalisti, non può supporli ciechi al punto di procurare la rovina propria per far dispetto alla repubblica ed ai socialisti del sig. Luigi Blanc.

D’altra parte, se i banchieri sono in istato di fallimento, se i capitalisti sono spogliati della maggior parte dei loro averi, non sono certo essi che hanno raccolto nelle proprie mani il numerario che manca ai bisogni della circolazione.

Abbandonata quindi una spiegazione, ispirata dal reo pensiero di fomentare le antipatie funeste che dividono le varie condizioni sociali, cerchiamo di scoprire le cause della crisi attuale, esaminando attentamente il modo col quale si operano le transazioni economiche nei tempi di prosperità, e le perturbazioni che debbono di necessità essere prodotte da un grande sconvolgimento politico, annunziato come preludio di un totale sconvolgimento sociale.

Nelle nostre società moderne il credito, ossia la fiducia che gl’industriali ed i commercianti hanno scambievolmente gli uni per gli altri, od ispirano ai possessori di capitali, esercita un’immensa influenza sulle transazioni economiche, ed in ispecie sull’agente della circolazione. Il credito supplisce in gran parte al numerario, e fa si che con una data quantità di esso si può effettuare un numero di transazioni infinitamente maggiore di quelle che si farebbero senza credito con quella stessa quantità di numerario.

Nell’infanzia delle società, in tutti i contratti è necessario il danaro contante. Collo svolgersi delle ricchezze e dell’industria i contratti, cioè le compre, vendite ed i cambi, si compiono coll’accordare more pei pagamenti, e coll’accertare i debiti contratti con carte negoziabili sotto forma di cambiali e biglietti all’ordine.

Queste dilazioni nei pagamenti, oltre il facilitare grandemente le operazioni del commercio e dell’industria diminuiscono di molto l’uffizio che il numerario deve compiere. Egli è evidente che se il fabbricante ed il negoziante avessero a pagare in contanti tutti i loro acquisti, essi avrebbero mestieri di potere disporre di una somma di danaro maggiore di quella che si richiede quando, come nelle circostanze ordinarie, ottengono facilmente un credito di più mesi.

Quindi il restringersi del credito suscita immediatamente numerose ed urgenti ricerche di numerario per parte di tutte le persone che esercitano industria e commercio.

Ecco dunque determinata una prima causa della crisi monetaria francese.

Ma non è la maggiore. Le vendite a credito, abbiamo detto, danno origine a carte negoziabili, a cambiali o biglietti all’ordine. Queste carte fanno pure l’ufficio del numerario; si danno e si ricevono liberamente in pagamento, non solo sulle piazze ove furono create, ma di piazza in piazza.

I negozianti di Torino, invece di spedire degli scudi ai loro corrispondenti di Genova, consegnano ad essi delle cambiali, che le vendite delle sete loro procacciano. Quindi si vede che le cambiali sono veri ed efficaci agenti della circolazione, come lo sono i biglietti di banca.

É difficile, se non impossibile, l’accertare, anche approssimativamente, l’ammontare di queste carte negoziabili che sono costantemente in giro nei tempi ordinari. Ma non si corre pericolo di cadere in esagerazione, col dichiararne il valore complessivo, per la Francia sola, a più centinaia di milioni. Quindi se col venir meno del credito il numero delle cambiali diminuisce naturalmente, la circolazione dovrebbe necessariamente rimanere incagliata.

Molte transazioni che si compivano con carte negoziabili, dovranno esserlo con danari effettivi. Una quantità considerevole di numerario sarà in continuo moto da una ad un’altra piazza per terminare contrattazioni, per cui non era prima necessario il rimuovere nemmeno uno scudo.

Quando il credito è intero, il fabbricante di drappi di seta di Lione vende a Parigi i suoi prodotti e riceve cambiali, colle quali paga al negoziante di Torino le sete che ha incettate. Queste cambiali servono a pagare i coloniali comprati a Genova, quindi gli acquisti fatti a Marsiglia. Prima di tornare per ultimo a Parigi, quelle cambiali possono ancora essere più volte girate, e servire così al compimento di molte altre transazioni commerciali. Finalmente, mandate alla Banca di Francia, se il trattario e l’ultimo cessionario hanno entrambi conti correnti con essa, le dette cambiali vengono incassate mediante una semplice girata operata sopra i suoi libri, senza che un solo scudo entri od esca dalle sue casse. E così una carta negoziabile, in virtù della fiducia che inspirano le firme che le sono apposte, serve a terminare un’infinità di transazioni commerciali fra le più distanti città, le quali, se dovessero compiersi per mezzo del numerario, richiederebbero una somma molto più rilevante di quella dalla carta rappresentata, perché la circolazione del numerario, oltre ad essere assai più costosa, è infinitamente men rapida della circolazione delle cambiali.

Queste osservazioni, forse soverchiamente minute, servono a far concepire esatta idea degli inconvenienti che ridondano alla circolazione dalla diminuzione degli effetti negoziabili. Bastano quindi a rendere in parte ragione delle esuberanti richieste di numerario che si manifestano generalmente in Francia, ed a spiegare come il numerario, sebbene non sia diminuito, si è nulla di meno fatto insufficiente a compiere l’uffizio a cui è destinato come agente della circolazione.

Ma la crisi non è cagionata solo dai maggiori uffizi che il numerario deve compiere, ma altresì dalle varie cause che nelle condizioni attuali concorrono a diminuire la quantità che circola liberamente.

Quando le cose procedono pacificamente, quando la fiducia nell’avvenire è piena, tanto le persone impegnate nei negozi e nelle industrie, quanto quelle che vivono del mero prodotto delle loro entrate, non serbano generalmente presso di sé in danari contanti fuorché una somma bastevole a provvedere ai casi impensati ed agli urgenti bisogni.

Il banchiere che ha nel suo portafoglio molte cambiali a scadenze successive; il negoziante che è certo di percepire ad epoche fisse l’ammontare delle sue merci; il proprietario che sa che il fitto dei suoi beni gli viene regolarmente pagato, non si daranno fastidio per procacciarsi danari da ritenere infruttiferi nei loro scrigni.

Ma, se la fiducia sparisce, se l’avvenire è minaccioso, se il banchiere teme per le sue cambiali, il negoziante per l’ammontare delle sue merci ed il proprietario pel pagamento dei fitti, essi saranno costretti da un legittimo sentimento di prudenza a radunare un fondo in danari, onde non rimanere senza risorse nel caso in cui venissero colpiti dai paventati colpi della fortuna.

Non ci pare biasimevole, anche dal più passionato amico delle rivoluzioni, colui che in tempi torbidi e procellosi cerca di raddoppiare la somma di danaro che d’ordinario conserva a libera sua disposizione. Questa generale disposizione, che si manifesta con maggiore intensità nelle classi men ricche e meno agiate, deve produrre un’eccessiva ricerca di numerario. I danari escono allora dalla circolazione in piccole somme, ma per un’infinità di canali. Non vengono sepolti nelle cantine, nelle fosse sotterranee dai cupidi capitalisti, come lo affermano i socialisti ed il Messaggiere; ma sono gelosamente custoditi da tutti coloro (e sono i più) che credono che in tempo di rivoluzione le sole ricchezze che non corrono il rischio di venire avvilite e scemate di valore, sono l’oro e l’argento.

Dopo di avere indicate le vere cause delle strettezze pecuniarie della Francia, dovremmo forse ricercare i mezzi di portarvi rimedio. Ma per ciò fare sarebbe mestieri il ritornare alle già intraprese discussioni sulle dottrine socialiste che i portentosi avvenimenti d’Italia ci costrinsero ad interrompere. Le rimandiamo quindi a tempi più pacati.

C. Cavour


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