[Guardia civica e libere istituzioni]

7 Febbraio 1848

«Il Risorgimento», Anno I, numero 35 del 7 febbraio 1848

Da molto tempo il desiderio di vedere ordinata fra noi la Guardia cittadina andava facendosi più forte e più universale: era diventato oramai un voto unanime, quasi irresistibile. Né poteva essere altrimenti.

A fronte dei sempre crescenti apparecchi di guerra dello straniero, della politica sempre tergiversante dei nostri vicini, era naturale che il patriotismo del paese s’esaltasse, che tutti coloro cui ferve in petto amor di patria chiedessero armi ed ordinamenti per essere pronti a resistere ai sovrastanti pericoli.

Ma ad un tanto motivo per desiderare la Guardia cittadina, se ne aggiungeva un altro non meno legittimo, non meno potente. Le riforme di Carlo Alberto, comunque ristrette nelle loro applicazioni, hanno tra noi inaugurato su larghe basi i veri principi che dominano le società moderne, i veri principi delle libertà civili. Tale, non è possibile il dubitarne, fu il fermo proposito del magnanimo nostro Re, quando le promulgava. Giudicando egli essere i popoli, mercé delle paterne sue cure, giunti ad alto segno di maturità, si determinò spontaneamente a mutare l’antico sistema, che ci reggeva, in uno più adatto alle condizioni dei tempi, più conforme a quello che è in vigore presso i popoli più civili, il sistema costituzionale.

Ma, guidato da quella sollecitudine ch’ei mostrò sempre pe’ sudditi suoi, volle operare la grande mutazione con modi progressivi e prudenti affine di evitare le difficoltà ed i pericoli che la storia ci mostra quasi inevitabili nelle epoche di transizione. Forse queste difficoltà, questi pericoli, prima della promulgazione delle riforme apparivano molto maggiori che in realtà non fossero. Infatti, l’abbiamo già detto, il contegno del popolo, il concorso quasi unanime del clero e del patriziato dimostrarono incontrastabilmente che i popoli liguri-piemontesi erano altamente preparati alla vita libera, alle nuove sorti alle quali il loro Re li chiamava.

Noi, con tutta la nazione, abbiamo applaudito a quella prudente politica, che con sì alto senso ci spingeva nelle vie del progresso. Ed accettando con gioia, con riconoscenza le operate riforme, abbiamo confidato nella sapienza del Re, nella potenza dei tempi, pel pronto e regolare svolgimento dei fecondi principi in esse contenuti.

Una delle prime, delle più importanti applicazioni di questi principi, doveva essere l’ordinamento della Guardia cittadina. Un popolo che progredisce nelle vie della libertà, dee necessariamente desiderare di essere armato per custodire questa libertà, per impedire che degeneri in licenza. E questo desiderio è così naturale che dee pure di necessità essere diviso da tutti i cittadini, anche i più semplici e meno illuminati. Così avvenne fra noi. Il buon senso popolare non durò fatica a riconoscere che la più immediata, la più chiara conseguenza delle riforme era la Guardia cittadina; e quindi la nazione ne provò, ne manifestò ardente il desiderio.

Così, alle cause interne aggiungendosi le esterne, la questione dell’armamento dei cittadini divenne la questione più incalzante, quella che, pochi giorni sono, più d’ogni altra meritava di fissare l’attenzione dei magistrati e del Governo.

Ma compiendosi in Piemonte il regolare svolgimento dei principi liberali promulgati dalle riforme, gli spiriti erano rivolti specialmente alla Guardia civica; a Napoli il Re, stretto dagli eventi, proclamava, senza restrizione né reticenze, l’ultima conseguenza di questi principi, il sistema costituzionale. Questo gran fatto produsse fra noi un effetto immenso, d’ora in ora crescente. L’essere un popolo fratello giunto sollecitamente alla meta cui tendiamo, il veder poste in chiara luce le gran verità costituzionali che si mantenevano quasi velate, ridestò, centuplicò il desiderio latente in tutti i cuori, di conseguire quanto prima quelle sane istituzioni politiche, cui il nostro Governo intendeva condurci col prudente, ma forse troppo lento metodo delle riforme progressive.

Gli avvenimenti di Napoli hanno fatto altamente risuonare quelle parole, che erano in tutte le menti, ma che nessuno proferiva se non a bassa voce. Epperciò han fatto apparire agli occhi dell’intera nazione i gran principi costituzionali, oggetto, or sono pochi giorni, dei voti di tutte le persone illuminate, desiderio ardente oramai di tutti quasi senza eccezione i cittadini. Col medesimo ardore, col quale si chiamava la Guardia cittadina, si chiama adesso il maggiore, il più essenziale dei benefizi che un Governo forte e generoso possa concedere, le forme deliberative.

Tale essendo lo stato reale dell’opinione e del paese, noi non dubitiamo di proclamare che se, prima della promulgazione della Costituzione napoletana, la sola istituzione della Guardia cittadina doveva considerarsi qual regolare svolgimento del sistema adottato, dopo le riforme, epperciò qual atto di sovrana sapienza, ora, disgiunta dalle istituzioni deliberative, non sarebbe che una concessione inefficace e fors’anco pericolosa.

Ai motivi, che militavano in favore dell’ordinamento di una Guardia cittadina, si aggiungeva, pochi giorni sono, il vantaggio di appagare momentaneamente il voto delle popolazioni; ma ora un tale scopo non si conseguirebbe. A quel voto ne è sottentrato un altro più ardente, più logico, più legittimo. Lo spettacolo delle libertà state accordate ai napolitani, di quelle che si stan preparando per la Toscana ha cresciuto ne’ popoli nostri il desiderio già prima ardente di conseguire, di meritare eguali benefizi dal loro principe. Sinora vedevano quasi in lontananza, in modo poco distinto, questa gran luce politica; ma nutrivano la certezza che il Governo v’avea gli occhi da lungo tempo; però si rassegnavano ad un tirocinio che era loro rappresentato come indispensabile a stabilmente fondarle.

Ma il crearsi di un Parlamento a Napoli, a Firenze, fra popoli, i quali, con più o meno di fondamento, sono riputati in Europa meno preparati di noi alla vita costituzionale, toglie agli argomenti che si mettevano in campo intorno alla necessità di un’epoca di transizione, ogni specie di valore. E’impossibile oramai sostenere di buona fede e seriamente che i liguri-piemontesi non sieno preparati a ricevere istituzioni che son giudicate opportune a Napoli e in Toscana.

L’impulso della Provvidenza rende necessariamente velocissimo quel moto di progressivo svolgimento ideato dalla vigorosa e benefica mente che ci governa. Il sistema di transizione, ottimo in tempi tranquilli, torna nei procellosi inopportuno, quando non arreca impensati pericoli.

Sicché ripeterò io: a che gioverebbe ora il concedere la sola Guardia cittadina? Ad acquetare momentaneamente l’opinione pubblica? No certamente. L’opinione pubblica è irresistibilmente rivolta a fini più alti e più tranquillanti. E’egli sperabile che la presente effervescenza popolare si calmi in virtù di alcune concessioni, o per volgere di tempo? Speranza più fallace ancora: ogni battello che giunga quind’innanzi da Napoli recandoci nuovi fatti della vita costituzionale a cui agogniamo, raddoppierà i desideri del pubblico, facendolo più impaziente ed irrequieto.

Che sarà poi quando si aprirà il Parlamento napoletano? L’eco delle voci eloquenti che risuonerà da quelle tribune, di quali sensi non infiammerà tutti i petti? Chi può prevederne gli effetti sulle menti concitate dei lontani, degli aspettanti? Chi misurare i risultamenti dei primi discorsi parlamentari italiani, ripetuti e commentati dalla stampa nostra periodica di ogni forma? A tali eccitamenti qual forza morale opporrà il Governo?

Abbiam già altre volte espresso la ferma opinione: essere a lungo andare sommamente difficile il governare un paese ove la stampa fosse libera o semilibera, senza l’aiuto di una discussione aperta in cospetto del paese. Tale difficoltà tramutasi in impossibilità tostoché l’opera della stampa venga secondata dallo stimolo della tribuna di un paese fratello, che ci dà con ciò stesso il maggiore incitamento a seguirne l’esempio.

Noi rispettiamo altamente gli uomini di Stato che ci governano; ma, il ripeto, quand’anche il Ministero fosse composto di Colbert, di Sully, di Bogino, ma non interpretasse i voti del paese, sobbarcherebbesi ad impresa maggiore d’ogni umana forza.

Taluno forse dirà che a contenere l’effervescenza popolare basta la Guardia cittadina. Deplorabile errore! Precisamente le classi che compongono le Guardie cittadine, saranno le prime a sentire più fortemente l’influenza delle libertà napolitane.

Benché elevata al trono ed al paese, non potrà frenare l’ardenza dei suoi desideri, e non frenando la sua, crescerà necessariamente l’altra.

Quali abbiano allora ad essere le condizioni del paese, è facile immaginarlo. Ondeché dichiareremo con piena convinzione, a rischio di spiacere ad alcuno dei nostri amici, che noi non potremmo senza grave apprensione vedere il paese nostro privo d’istituzioni deliberative, essere armato al cospetto delle tribune italiane, di Napoli, Firenze, e forse fra non molto quelle di Roma se piaccia a Dio.

I pericoli di una tale condizione di cose sono evidenti: niun uomo di Stato può disconoscerli o negarne la gravità, salvo coloro i quali, acciecati da una smisurata fiducia nella loro personale influenza, credono, mercé di segrete ed oscure fila ch’ei dicon «pratica», far muovere il paese a loro talento, anche a dispetto degli eventi provvidenziali che l’incalzano.

Ma noi vogliamo sperare che i nostri timori sieno senza fondamento. Quel sommo, che già tanto fece pei suoi popoli, compirà l’opera sua; e dopo averli sapientemente guidati per tanti anni nel procelloso mare del progresso, li condurrà sicuri nel porto da lungo tempo dalla sua sapienza apparecchiato, ove egli, trovando quell’alto, incomparabile godimento di aver ordinato a pacifiche, indestruttibili libertà i popoli suoi, terrà un posto eminente fra i più grandi monarchi d’Europa.

C. Cavour


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