«Il Risorgimento», Anno I, numero 9 del 10 gennaio 1848
La Deputazione di Genova è ripartita da Torino nella notte di sabato, accorata e dolente di non aver potuto deporre a’ piè del trono i voti, i desideri, le speranze de’ suoi concittadini.
Essa se ne ritorna senza portar seco alcuna di quelle regie parole a cui è dato sedare le agitazioni popolari le più ardenti, calmare gli spiriti più concitati.
Noi rispettiamo i gravi motivi che indussero il Re a non profferirle, non che il dolore di quei benemeriti cittadini, i quali, dopo di avere adoperata la loro influenza a mantenere la pubblica quiete, avevano assunto l’arduo incarico di farsi interpreti dei sentimenti del popolo genovese.
Voglia il cielo che, reduci a Genova, venga fatto loro di poter mantenere i loro concittadini nelle vie della legalità con parole di pace e di unione.
Confidino questi nell’animo generoso del Re. Se egli credette che la dignità del trono, l’autorità del governo si opponessero al ricevimento di una deputazione non legalmente costituita, non può disconoscere tuttavia quali sono i voti, e i caldi desideri de’ suoi sudditi della Liguria.
Queste preghiere, osiamo sperarlo, saranno l’oggetto di un pronto e maturo esame per parte del trono, che saprà circondarsi, in queste supreme occorrenze, delle assennate e devote persone che la confidenza delle popolazioni e l’opinione pubblica indicano alla sua scelta.
Possano i Genovesi frenare le loro impazienze, e mantenersi saldi contro le provocazioni; ed avranno così contribuito allo svolgimento progressivo delle nostre riforme, che è nella mente e nel cuore del Re.
LA DIREZIONE
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